Dibattito carente

A 70 anni dalla fine del secondo conflitto

Prossimi ai settant’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, dalla ripresa delle sue pubblicazioni “la voce repubblicana” si è preoccupata con la sua terza pagina a ripercorrere momenti salienti degli eventi, dei protagonisti e delle ideologie che hanno segnato quel conflitto. Questo principalmente per approfondire un dibattito e offrire spunti di riflessione che sui media nazionali è stato finora a dir poco deludente, quando proprio carente. Il ricordo che è stato fatto di Gunter Grass sulla nostra stampa è stato tale da far agghiacciare i polsi e solo un quotidiano nazionale ha sentito il bisogno di ricordare, per contrasto, uno dei pochi intellettuali tedeschi antinazisti nella loro giovinezza, tra l’altro quasi ignoto al grande pubblico italiano, quale Joachim Fest. Abbiamo cercato di rimediare come potevamo. Non si tratta di un’attività da storici, in quanto vi sono segnali, più che mai inquietanti, dell’intensificarsi di fenomeni, vedi l’antisemitismo in Europa, che pure si credevano rilegati al secolo scorso. E non vogliamo nemmeno tralasciare l’allarme sull’ autoritarismo che si alza più meno ogni giorno e dalle voci più disparate, nel solo nostro Paese. Poi c’è un diffondersi dei nazionalismi che in Ucraina hanno già assunto la forma del conflitto armato. È vero che siamo stati abituati nel corso del 1700 a pensare alle magnifiche sorti progressive della storia, ma non ci dimentichiamo quei pensatori del medio evo convinti invece che il tempo si volgesse all’indietro. Nel lecito dubbio ci preoccupiamo di tutti i dettagli. Non è un dettaglio insignificante che nel dibattito politico di ogni giorno si voglia trovare un responsabile oggettivo della crisi economica che ci attanaglia e lo si sia individuato nella Germania. E’ stato un illustre professore, che i repubblicani conoscono bene oltretutto, a dire che le politiche di Angela Merkel sono degne se non le stesse di quelle di Walther Funk, il ministro dell’economia della Germania nazista. Quello che l’ illustre professore ha dimenticato di dire è che l’economia della Germania nazista era sostanzialmente un’economia di rapina e schiavista, fatta con i carri armati, visto che Hitler si disinteressava completamente dell’economia tanto che nel suo governo aveva precedentemente affidato questo dicastero ad un tedesco che mai aveva preso e prese la tessera del partito nazista quale Hjalmar Schacht, che essendo contrario alla politica di armamenti venne rimosso nel 1937. Eppure questa tesi è diventata patrimonio comune, vedi la Grecia, dove Syriza rappresenta l’attuale ministro dell’economia Schauble in divisa da nazista e Tsipras chiede persino la riparazione del debito di guerra. Di questo passo presto si accorgeranno che devono chiederli anche all’Italia, perché fu Mussolini a invadere la Grecia, Hitler corse solo in soccorso del suo alleato miserello. La cosa più resta l’accusa generalizzata alla Germania di voler essere politicamente egemone anche oggi, come allora, quasi che gli Stati non mirassero, ciascuno nella sua forma conosciuta a raggiungere maggior potenza ed egemonia. Solo che ci dovrebbe essere una bella differenza ad essere egemoni e a perseguire a questo fine con i trattati fra soggetti liberi, rispetto a chi invadeva i confini con i carri armati e le sue truppe. Si dice che comunque l’egemonia non è equa, eppure in occidente abbiamo sempre voluto un’egemonia di un Paese o di un gruppo di paesi il cui Stato si mostrasse equo, proprio per sottrarla ai rischi che la prendessero paesi iniqui. Non è l’egemonia politica il problema che ci riguarda, è il mezzo con cui la persegue. In fondo anche a noi italiani intorno al 1930 era piaciuta l’idea di una nostra egemonia da assumere in qualche parte del mondo, solo che presto ci siamo convinti di non essere proprio capaci di esercitarla. E anche questo dilemma, sulle autentiche capacità dei governi italiani fra le due guerre ed il dopo, è ancora irrisolto.

Roma, 16 Aprile 2015